La nascita vista dal bambino

 “Photo by Christian Bowen on Unsplash”

Un mondo tiepido, liquido, ovattato.

Da qui veniamo, e forse con questo ha a che fare quella nostalgia che a tratti si affaccia alle nostre vite e a cui non sappiamo dare un nome.

È la vita in utero, la vita prima della vita.

Quella che probabilmente tu che leggi stai custodendo dentro di te, o forse l’hai fatto fino a poco tempo fa.

L’esperienza della gravidanza ci mette in contatto con energie profonde, ancestrali. Devono esserci sempre state, da qualche parte, eppure le scopri solo ora.

Mai come adesso ti senti parte del regno animale perché il corpo – che tutto sa e che ora prende il sopravvento sulla mente – ti parla in modo diverso.

Sei più sensibile ed empatica (okay, al limite della sofferenza emotiva. Ma stai tranquilla, è così che deve andare!).

Gusto e olfatto si acuiscono e ti mandano messaggi d’ allarme sulla sicurezza del cibo. Hai a cuore la tua salute e incolumità in un modo inedito (per forza: non stai proteggendo te stessa, ma la prosecuzione della tua specie).

E anche la tua routine casalinga è cambiata, vero? Fai spazio di qua, razionalizzi di là… Stai facendo il nido.

Insomma, viene da dire che finora sei stata una donna, una creatura sociale; mentre adesso che sei anche una mamma scopri di essere pure un mammifero. D’ora in poi, rassegnati, sarai un mammifero per sempre.

Fin qui, quello che accade “fuori”.

E poi c’è lui o lei, la creatura che sta crescendo dentro di te, quel piccolo inquilino sempre più ingombrante che ti sta rivoluzionando tutta la vita.

Poche cellule che nel giro di nove mesi si sono trasformate in un bambino.

La vita intrauterina è stata a lungo un mistero, ma al proposito la scienza ci vede sempre più chiaro: là dentro si sta bene, benissimo.

È un mondo protetto, ma non isolato. Gli stimoli esterni arrivano ma attutiti, filtrati, addolciti per così dire dal “sistema mamma”.

Quegli stessi stimoli il neonato li riconoscerà, e tu te ne accorgerai.

Insomma dall’utero non si uscirebbe mai, ma a un certo punto accade qualcosa. Visto da qui, se ci pensi, è qualcosa di tremendo, di sconvolgente, che qualcuno vede come il primo e indelebile trauma dell’esistenza: il guscio si contrae, dapprima in maniera più tenue e sporadica, poi in modo sempre più incalzante.

Un vero e proprio terremoto, che scuote e squassa il suo piccolo mondo autosufficiente. Tutti i parametri vitali (ossigenazione, pressione, frequenza cardiaca) si modificano mandando un unico messaggio d’ allarme: devi uscire!

E il piccolo si fa strada attraverso la cervice; perché anche il suo, di corpo, “sa”. Ma che fatica!

È un viaggio avventuroso, fatto di schiacciamenti, apnee, palpitazioni, choc termici.

Ma lo choc sensoriale è totale. Dentro c’è tepore, fuori fa freddo. Il neonato, dalla penombra, viene letteralmente alla luce e ne è accecato.

L’ostetrica più avveduta abbasserà le luci, in questo momento: un sapiente atto di gentilezza.

I polmoni si riempiono improvvisamente d’ ossigeno provocando un inatteso bruciore.

Come ogni percezione è indescrivibile, incomunicabile.

E a maggior ragione lo è perché tutti noi lo viviamo in uno stadio pre-cosciente dell’esistenza.

Eppure pare che la mente ne rechi una traccia profonda, che ci lavora dentro a nostra insaputa. Quello che sperimentiamo al momento della nascita è un argomento denso di implicazioni per psicoanalisti, filosofi, poeti e teologi ma anche – e di questo ti parliamo oggi – scienziati.

Perché se appartiene al regno dell’inconoscibile quell’area di confine tra non esistenza ed esistenza, c’è chi il parto lo studia, chi lo pratica come professione e chi unisce le due cose – come Frédérick Leboyer.

Il quale formulò una vera e propria scienza del venire e del dare alla luce, una sorta di “arte del nascere“.

Già, perché se ci deve condizionare il resto della vita, facciamo in modo che sia bello. O almeno il più bello possibile.

Cosa prova il nostro bimbo, nel nascere? Dolore, panico? Bene, facciamo in modo che dopo il dolore e il panico ci siano l’abbraccio, il latte, la mamma (che è la stessa cosa che c’era lì dentro!), imprimendo nella sua memoria sensoriale la ben riposta speranza di un lieto fine.

Vi sono numerose pratiche volte a rendere meno traumatico il momento: il parto in acqua, che permette una transizione tattile più dolce e graduale; lo skin to skin, che prevede che il piccolo prima di ogni altra cosa venga posto, nudo, sul corpo nudo della mamma.

E poi ci sono tante cose che possiamo fare una volta a casa. È per questo che avevamo fatto il nido!

Ecco che assumono un’importanza vitale la cameretta, la giostrina con la musica, la luce soffusa. Ma anche vaschette da bagno che simulano la forma contenitiva e quasi costrittiva dell’utero. E addirittura dispositivi che simulano un battito cardiaco riproducendo l’ambiente uditivo del sacco amniotico.

Insomma il mercato è ben consapevole delle moltissime esigenze di una vita che inizia, e ci mette a disposizione davvero di tutto.

Con l’equipaggiamento giusto saremo in grado di fornire al nostro piccolo un ambiente sereno prevenendo, magari, le più comuni manifestazioni di stress, sofferenza e disagio post-natale come coliche e colichette.

Del resto, “quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla”. (Lao Tzu)