Boom nel settore della Canapa light: come aprire un’attività e la normativa italiana

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I commercianti tendono sempre a cogliere al volo le nuove opportunità di guadagno. Ciò accade specialmente quando si aprono interessanti prospettive su un segmento merceologico che è totalmente o parzialmente inedito. Percorrere una strada proponendosi per primi e facendosi trovare pronti all’appuntamento del boom può significare molto in termini di profitto. Tuttavia è importante non lasciarsi andare ai facili entusiasmi e cercare di capire quali sono le effettive potenzialità di un progetto. Probabilmente hanno pensato proprio alla strategia di anticipare i tempi i numerosissimi negozianti che si sono buttati a capofitto sulla cosiddetta cannabis light. In molte città italiane nell’ultimo periodo sono spuntate vetrine con oggetti spesso stravaganti e confezioni in bella mostra che richiamavano in maniera evidente il simbolo della marijuana. Ma cosa vendono realmente questi negozi? È un business redditizio che può diventare un lavoro serio sulla base del quale mantenere una famiglia o perfino assumere dipendenti? Come funziona la normativa sulla vendita di prodotti a base di marijuana? Quali rischi ci sono e quali regole bisogna rispettare?

Come aprire un negozio di cannabis light

Coloro che utilizzano la parola boom non sbagliano affatto. Nonostante sia abbastanza presto per conteggiare il reale ritorno economico di questo settore innovativo, si può osservare che le richieste arrivate presso gli uffici comunali SUAP sono moltissime. Recarsi allo Sportello Unico per le Attività Produttive è sicuramente il primo passo da fare per ricevere direttamente dall’amministrazione locale le informazioni necessarie per comprendere com’è stata identificata la procedura in quello specifico contesto comunale. Ovviamente occorrerà aprire una partita IVA, esattamente come succede per qualsiasi altra attività, iscrivendosi al registro delle imprese e contribuendo per quando concerne INPS e INAIL. Può essere utile farsi assistere in queste fasi di startup da un bravo commercialista per evitare di commettere errori fiscali o burocratici che potrebbero costare veramente cari.

Non improvvisare

Il negozio deve essere organizzato bene e l’ambiente non deve presentare problematiche di igiene, deve avere gli impianti elettrici, idraulici e di riscaldamento a norma nonché deve possedere tutti i requisiti di sicurezza che servono per i locali aperti alla clientela dove si fa commercio. Non bisogna dimenticare di aver frequentato il corso SAB conservando l’attestato. La formazione di legge per la somministrazione degli alimenti e delle bevande è obbligatorio per essere autorizzati a maneggiare prodotti che sono destinati al consumo umano. A livello di investimento economico lo sforzo dovrebbe aggirarsi intorno a 20-30 mila euro ed è comprensivo dell’iter procedurale, del costo per i professionisti che si occupano della documentazione e del minimo indispensabile per avviare l’attività. Un’alternativa molto diffusa è quella di ricorrere al franchising, affidandosi a un brand che già si occupa della materia e che mette la propria professionalità al servizio del rivenditore. In questo caso ovviamente si dovrà contrattare tutta la questione relativa al costo dei prodotti, al supporto commerciale, alla fornitura del mobilio e agli altri dettagli che riguardano il rapporto di affiliazione. Indicativamente aprire un franchising di cannabis light può ridurre della metà la spesa necessaria complessiva per l’apertura del negozio.

Il volume d’affari e i prodotti

La Coldiretti ha fatto uno studio proprio sui numeri che girano intorno alla commercializzazione di infiorescenze di marijuana, alla luce di questa nuova frontiera rappresentata dalla cannabis light. Si tratta di cifra assolutamente ragguardevoli che superano 40 milioni di euro. Nell’ultimo quinquennio, sempre in base alle stime fornite dalla Coldiretti, i terreni che vengono destinati alla coltivazione della canapa sono aumentati ben 10 volte. Si passa da 4000 ettari di coltivazioni di canapa nel 2013 a 4000 calcolati su una proiezione che riguarda l’anno in corso del 2018. I prodotti più ricercati nei canapa shop sono le essenze profumate, estratti destinati alla cosmetica, prodotti di bellezza, bevande aromatizzate, energy drink, dessert, pasta e moltissimo altro ancora.

Thc: qual è il limite consentito in Italia?

La marijuana è una pianta che cresce in natura e che può essere coltivata con successo in tutto il mondo. In alcuni contesti cresce all’aperto senza eccessivi accorgimenti. In altri scenari geografici e climatici particolarmente sfavorevoli si ricorre alla coltivazione indoor ottenendo comunque un buon risultato. La sostanza psicoattiva per la quale anche il nostro paese rende illegale la commercializzazione di questo prodotto considerandolo una droga è il tetraidrocannabinolo, la cui sigla è THC. Ma la Legge italiana non è così chiara sull’argomento e si delinea quella che gli esperti chiamano zona grigia. Al di sotto di una determinata concentrazione di THC, infatti, le infiorescenze potrebbero, almeno in teoria, essere vendute liberamente. Gli effetti stupefacenti infatti si presentano solo al superamento di quella concentrazione.

Ma qual è il limite preciso entro il quale si può essere certi di non avere problematiche legali?

Per dare una risposta esauriente al quesito occorre suddividere l’argomento in 3 categorie, ciascuna con prescrizioni normative specifiche:

  • agricoltori;
  • rivenditori;

Gli agricoltori non possono controllare un campo come si controlla un laboratorio chimico. Alcuni fattori indipendenti dalla volontà possono provocare sbilanciamenti dei livelli di THC nelle infiorescenze, anche in una stessa coltivazione trattata con le medesime tecniche. Dunque fino allo 0,6% l’agricoltore può ritenersi tranquillo. Questa soglia però non vale per il rivenditore che può raggiungere al massimo lo 0,5% su moltissimi prodotti, in base a una normativa europea specifica sull’argomento. Tuttavia c’è una recentissima circolare ministeriale più restrittiva che mette in guardia tutta la filiera dal produttore al consumatore, avvertendo che anche nell’intervallo tra lo 0,2% e lo 0,5% si rischia l’identificazione della sostanza come stupefacente. Quindi è importante fare molta attenzione, per evitare che il proprio negozio diventi una rivendita di droghe per le quali sono previste sanzioni economiche e accuse penali.